[ a cura di F. Giannotti, Garzanti, Milano 2020 ]
Fra le cose più consistenti che accadono nel lavorio critico intorno alla poesia italiana del Novecento c’è la ricostruzione dei laboratori autoriali, dove le poesie nascevano a contatto con recensioni, articoli di giornale e traduzioni. Il mio Enea, libro strano e necessario (come lo definisce Alessandro Fo nella prefazione) curato e introdotto da Filomena Giannotti, sembra confermare tale affermazione. Infatti, al di là della suggestione che l’esule troiano esercitò nel secondo dopoguerra sulla poesia di Giorgio Caproni, è possibile incontrare il personaggio virgiliano in articoli di giornale divulgati già alla fine degli anni Quaranta.
Un’altra indicazione che cogliamo riguarda la centralità della seconda guerra mondiale per tanta parte della poesia novecentesca. Se Caproni può immedesimarsi nel destino di Enea, è proprio in ragione della comune condizione di esule di guerra, in seguito alla folgorante visione di un monumento rimasto intatto, a dispetto dei bombardamenti, in piazza Bandiera a Genova. Come Enea, il poeta si sente schiacciato dal suo tempo e oppresso dalla responsabilità che nutre nei confronti dei figli e dei genitori. Come Enea, sente di scontare una “vedovanza” che lo riporta all’evento più traumatico della sua giovinezza (la scomparsa della fidanzata Olga Franzoni) e avverte forse la “colpa” di essere sopravvissuto a tanta distruzione. La suggestione sarà potentissima e di portata universale, come lo stesso Caproni sottolineerà, arrivando a parlare di una figura che incarna il destino della propria generazione. Il materiale raccolto dalla curatrice, quasi completamente disponibile in raccolte e studi anche recenti, è organizzato in due parti. La prima abbraccia un periodo di ben trentuno anni, raccogliendo sette contributi a stampa (i più antichi datano 1948), il poemetto Il passaggio d’Enea e un articolo del 1979 intitolato Genova. La seconda include trentuno estratti in cui Caproni accenna occasionalmente all’eroe virgiliano; i termini temporali vanno questa volta dagli anni Cinquanta di un appunto dattiloscritto (portato alla luce da Adele Dei nel 2016) a un’intervista del 1998. Oltre a quanto si è già avuto modo di citare, completano il lavoro un apparato iconografico, comprendente fra l’altro un suggestivo scatto di Piazza Bandiera devastata dalle bombe, e una postfazione firmata da Maurizio Bettini, in cui il passaggio dell’eroe troiano è esteso a una dimensione europea e mondiale.
Ma lasciamo la parola al poeta per sentire dalla sua viva voce quali siano i termini del proprio incontro con l’eroe: «L’ispirazione mi venne da un monumento che si trova a Genova. Credo che Genova sia l’unica città che abbia un monumento a Enea, e, nemmeno a farlo apposta, si trova nella piazza più bombardata della città, che è piazza Bandiera. […] e allora io vidi in Enea non la solita figura virgiliana eccetera, ma vidi proprio la condizione dell’uomo contemporaneo della mia generazione, solo nella guerra, con sulle spalle un passato che crolla da tutte le parti, che lui lo deve sostenere, e che per la mano ha un avvenire che ancora non si regge sulle gambe. Proprio l’uomo solo, vedovo […]. Vi avevo visto il simbolo appunto della mia generazione» (da un’intervista del 1970).
Il mio Enea si configura come un utile ausilio agli studi, oltre a essere un gradevole libro di lettura. A parte la visione d’insieme di un motivo interpretativo già riconosciuto dalla critica, ma non ancora condotto alle estreme conseguenze, il libro aggiunge all’intelligenza critica dell’opera caproniana le acute osservazioni di Giannotti contenute nell’introduzione e nelle note, benché avrebbe giovato rinvenire negli apparati un più puntuale aggiornamento della bibliografia critica recente. Giannotti fa luce su una vasta messe di piccole questioni filologiche ed esegetiche, offrendo un commento ricco di informazioni e rimandi che collocano con grande precisione il lavoro sull’eroe di Troia all’interno del laboratorio caproniano.
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